CLINICA DEI DISTURBI ALIMENTARI IN COMUNITÀ

     

    clinica disturbi alimentari famiglia

     

    DCAmolo in famiglia
    Indagine sui vissuti familiari nel momento del pasto
    attraverso la somministrazione di un questionario di rilevazione dati

     

     

     

    Questionario DCAmolo in Famiglia
    le dinamiche relazionali presenti in famiglia durante il momento dei pasti

    1. Che componente della famiglia sei?
    2. Come viene gestito il momento del pasto in famiglia?
    3. C’è qualcuno che solitamente decide il menù e le porzioni?
    4. Chi si occupa abitualmente della spesa?
    5. Capita che vengano condotti pasti fuori casa? Se si, quante volte a settimana? (Descrivere il contesto)?
    6. Quali sono i cibi fobici/trigger? E quanti sono diventati nel tempo?
    7. Come sono le reazioni dei diversi componenti della famiglia rispetto al comportamento alimentare?
    8. Quanto dura il momento del pasto? Chi rimane fino alla fine?
    9. Come sono cambiate le dinamiche familiari nella gestione del momento del pasto in seguito al trattamento del disturbo alimentare?
    10. Consapevolezza della presenza del disturbo alimentare: nessuna, poca, discreta, totale

    Se ti va di rispondere a questo questionario, anche in forma anonima, invialo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
    scrivere fa bene... per alleviare il tuo malessere, la tua sofferenza... per cominciare ad affrontare il problema... per COMINCIARE A VIVERE!

     

    INTRODUZIONE

    Alla proposta del lavoro di project work in conclusione del master, sono state proposte diverse tematiche da approfondire e l’interesse di ognuna di noi si è espresso scegliendo l’argomento che più sentiva affine a sé. Si sono creati quindi dei gruppi e con l’obiettivo di portare avanti il lavoro, ci si è organizzati con diversi incontri settimanali per valutare come procedere.
    Sulla base di questi presupposti, abbiamo definito il focus del nostro lavoro che vede al centro della nostra indagine le dinamiche relazionali presenti in famiglia durante il momento dei pasti che a nostro avviso risulta essere quello più problematico e significativo. Mettendo insieme le nostre idee e le nostre differenti professionalità, siamo riuscite a condividere l’idea della creazione di un breve questionario per indagare gli aspetti che ci interessavano.
    Nonostante le difficoltà logistiche e la nostra distanza, siamo state in grado, in breve tempo, di ottenere ciò che ci eravamo prefissate. L’obiettivo, oltre alla raccolta dati, è arricchire il nostro lavoro individuale con il punto di vista di ognuna di noi, che con partecipazione e disponibilità ha fornito le proprie competenze.

    GRUPPO
    Cassini Alessandra - Tecnico della riabilitazione psichiatrica – SPDC Asl Colleferro (RO)
    De Martino Anna – Psicoterapeuta della Gestalt – studio privato – Salerno
    Grassi Giulia – Dietista – studio privato – Livorno
    Laini Roberta – Pedagogista, educatrice – Servizi sociali del comune - Brescia
    Quatrale Rosalba – Psicoterapeuta – ASST Bergamo est - Bergamo
    Villa Elena – Biologa Nutrizionista – studio privato – Como e Lecco

    STRUTTURAZIONE DEL QUESTIONARIO
    Il lavoro è stato svolto nel mese di maggio/giugno 2022.
    DCAmolo in famiglia è un questionario nato dalla collaborazione tra diverse figure professionali.
    Dall’incontro di queste figure professionali e dall’attenzione al contesto “famiglia” nei DCA nasce, appunto, questo strumento di indagine con l’obiettivo di avere una lente di ingrandimento sul continuum che va dal periodo che precede il disturbo a quello successivo dove questo ormai ha iniziato a mettere le sue radici sia nel quotidiano che nelle relazioni. Il questionario è stato somministrato sia a maschi che a femmine di età compresa tra i 13 e i 27 anni in ambito privato e pubblico.
    È visibile come la routine quotidiana subisce notevoli e significative modifiche, come le relazioni vengono colorate da rigidità e a tratti isolamento, come il momento del pasto inizia a prendere forma di un “ring” nel quale si combattono le più dure battaglie sotto gli occhi a tratti giudicanti e a tratti disponibili della famiglia.
    Si tratta di comportamenti alimentari che in alcuni casi soddisfano i criteri diagnostici dei DCA in altri casi pur non soddisfacendo i criteri si registra un forte malessere. Malessere e sofferenza diventano le protagoniste di questo pericoloso viaggio che coinvolge tutti i componenti della famiglia nonostante le varie diversità comportamentali, emozionali e cognitive.
    Un corpo che viene umiliato nel suo aspetto, un’emozione inespressa, un bisogno di amore incondizionato, pensieri che si susseguono veloci e instancabili imponendosi al volere della persona.
    È tutto questo lo scenario che colpisce molte famiglie, dalle più alle meno consapevoli.
    Un lavoro intenso e di equipe è l’unica àncora che può rallentare e curare l’intero viaggio che nasce dall’interruzione del motore biologico ricordando che i DCA rappresentano la prima causa di morte giovanile al di sotto dei 25 anni, seconda solo agli incidenti stradali.
    Preoccupazione eccessiva del proprio peso e della forma del proprio corpo come controllo costante è la regina dei DCA. Il nuovo peso rappresenta il nuovo limite massimo ed ecco che il controllo diventa sempre più intenso mentre, d’altro canto, si diventa sempre più esperti del piccolo e del minuzioso.
    L’io ha illusione di controllare tutto. Le pulsioni vengono azzerate e i desideri annullati. Si fa spazio l’idea narcisistica di poter controllare il proprio corpo, spingendolo all’estremo.
    Il godimento è nella privazione, nell’eccesso, nelle abbuffate.
    Tutti i DCA nelle loro specificità rappresentano forme di dipendenze.

    Questionario DCAmolo in Famiglia
    Focus progetto: il vissuto dei vari componenti della famiglia rispetto al momento del pasto e all’alimentazione prima e dopo l’emergere del disturbo alimentare o della vera e propria diagnosi.

    1. Che componente della famiglia sei?
    2. Come viene gestito il momento del pasto in famiglia?
    3. C’è qualcuno che solitamente decide il menù e le porzioni?
    4. Chi si occupa abitualmente della spesa?
    5. Capita che vengano condotti pasti fuori casa? Se si, quante volte a settimana? (Descrivere il contesto)?
    6. Quali sono i cibi fobici/trigger? E quanti sono diventati nel tempo?
    7. Come sono le reazioni dei diversi componenti della famiglia rispetto al comportamento alimentare?
    8. Quanto dura il momento del pasto? Chi rimane fino alla fine?
    9. Come sono cambiate le dinamiche familiari nella gestione del momento del pasto in seguito al trattamento del disturbo alimentare?
    10. Consapevolezza della presenza del disturbo alimentare: nessuna, poca, discreta, totale
    Da somministrare a famiglia e a paziente.

     

    ANALISI DEI RISULTATI

    I Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione quando colpiscono una persona, coinvolgono inevitabilmente anche il suo intero sistema familiare, facendo scaturire una serie di domande e dinamiche che necessitano di risposte e di una presa in carico. La famiglia, nelle sue diverse espressioni, deve sempre essere riconosciuta e sostenuta come luogo privilegiato di relazioni stabili e significative per i pazienti in qualità di risorsa primaria. La famiglia e i pazienti vanno, pertanto, accolti ed orientati tempestivamente verso i percorsi di cura più appropriati evitando che la patologia possa diventare di lunga durata riducendo così la possibilità di efficacia delle cure. Negli ultimi anni, inoltre, si è evidenziata sempre di più la funzione di risorsa che i familiari possono rappresentare, e il lavoro sinergico tra Servizi, Istituzioni e Associazioni dei familiari ne è un esempio più che concreto. Le Associazioni dei familiari di persone affette da Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione sono una realtà importante sia in ambito di prevenzione che di cura: il loro apporto si concretizza in tutti quegli ambiti afferenti alla patologia che, pur non essendo strettamente collegati all’intervento sanitario, contribuiscono a rendere efficace il percorso di guarigione. Tali Associazioni perseguono finalità di solidarietà sociale e socio-sanitaria, operando a sostegno dei pazienti e dei loro familiari in collaborazione con i servizi della Rete regionale per i Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione promuovendo una presa in carico appropriata (Ministero della Salute, 2018). Questa cooperazione permette di costruire intorno alle persone coinvolte un supporto significativo in grado di rispondere in modo efficace alla complessità del disturbo che investe diversi ambiti della vita della persona (relazionale, familiare, scolastico e lavorativo) e per il quale si lavora, attraverso il lavoro integrato dell’equipe multidisciplinare di specialisti, per attuare un progetto terapeutico volto alla guarigione.

    Essendo quindi il ruolo della famiglia così determinante nel processo di cura verso la risoluzione della malattia, ed essendo “la tavola” il luogo simbolo per eccellenza del ritrovo e dello scambio reciproco dei vari componenti della famiglia, Il focus del lavoro svolto è stato quello di voler indagare più approfonditamente la quotidianità delle nostre pazienti, in particolare i vissuti familiari inerenti il momento del pasto, la sua gestione ed i comportamenti emergenti che caratterizzavano quello spaccato di vita.
    Il target d’età dei pazienti a cui è stato somministrato il questionario rientra tra i 14 anni e i 27 anni. I disturbi preponderanti risultano Anoressia Nervosa (dieci casi) e BED – Binge Eating Disorder (undici casi), solo un caso di Obesità e tre casi di Bulimia Nervosa. In base alle domande proposte nel questionario somministrato, quelle che a nostro avviso risultano più significative sono quelle relative al pasto; quanti componenti della famiglia conducono insieme il pasto e come viene svolto quel momento; le dinamiche relazionali che si manifestano durante il pasto; la consapevolezza di malattia per il paziente e la famiglia; la presenza di cibi fobici e, infine, come si sono modificate le dinamiche all’interno della famiglia in seguito al trattamento del disturbo.
    È importante sottolineare come le differenze riscontrate tra le varie risposte, siano in realtà molto comuni tra le pazienti caratterizzate dalla presenza della stessa malattia, quasi standardizzate. Nel caso dell’anoressia, ad esempio, è evidente come il disturbo appare in tutta la sua sintomatologia ponendosi dinanzi alla persona, quasi oscurandola: stessi ritmi alimentari (piuttosto lunghi), identici cibi fobici che racchiudono per lo più gli alimenti fonti di carboidrati, alimenti ricchi in grassi (olio, frutta secca, fritti, …) e dolci, quindi in generale cibi caloricamente densi; poche o nulle uscite come occasioni per consumare cibi fuori le mura domestiche, si preferisce consumare pasti in piena solitudine per non essere controllati e non ricevere critiche da parte dei familiari.
    In generale rispetto alla domanda su come vengono condotti i pasti, le risposte maggiormente fornite sono di pasto condiviso con il resto della famiglia o con qualche componente oppure in solitudine, ma per esigenze famigliari di turni lavorativi e orari scolastici.

    Riguardo ai comportamenti disfunzionali risultano abbastanza diffusi gli atteggiamenti di critica da parte dei familiari, l’espressione di commenti, a volte offensivi, legati all’aspetto del corpo o alla presenza del disturbo stesso, emergono sentimenti di rabbia o incomprensione e forzature nel terminare il pasto; nella maggior parte dei casi di binge eating disorder, invece, emerge un comportamento di indifferenza, banalizzando o comunque minimizzando il problema, e quindi la mancanza di un vero e proprio supporto genitoriale.
    Ciò che si nota è la diffusa paura del giudizio da parte dei familiari e questo influenza negativamente i pazienti ed amplifica il sintomo.

    Una della difficoltà più grandi, per i genitori, è quella di comunicare ai figli le proprie paure ed insicurezze ed, allo stesso modo, di comprenderli ed ascoltarli empaticamente senza giudicarli. Questa difficoltà comunicativa rende complesso, all’interno di una società in continua evoluzione, gestire le sfide legate alla crescita e all’acquisizione di una solida identità. I tradizionali ruoli paterni e materni non sono più così rigidi come un tempo ed anche le funzioni dei due membri della coppia genitoriale sono divenuti, almeno in parte, complementari (V.Trotta, 2021).
    Nella maggior parte dei questionari analizzati emerge una forte difficoltà nel rapporto con il materno. Difficoltà primordiale che dà il via a tutte le altre difficoltà in ambito relazionale. Spesso il rapporto è simbiotico, emerge la mancata separazione/individuazione tra madre e figlia, fondamentale per ridefinire la personalità della paziente nel percorso di guarigione; solitamente la madre è la figura più presente nel momento del pasto, è colei che cura la spesa, la preparazione e la porzionatura del pasto stesso. In alcune situazioni è interessante notare come la presenza di una familiarità del disturbo alimentare nella madre stessa alimenti inevitabilmente il comportamento disfunzionale del/la figlia/o, rafforzandolo.
    Questa condizione di mancata separazione del dualismo madre-figlio e conseguente sviluppo identitario può derivare dall’assenza della figura paterna. Secondo la teoria psicoanalitica freudiana, infatti, la comparsa del padre nella diade madre-bambino aiuta il bambino a raggiungere un’identità separata ed una coscienza morale, iniziando un percorso di internalizzazione dell’autorità che è sinonimo dello sviluppo del Super Io (Freud, 1985).
    Esistono, infatti, almeno quattro funzioni specifiche paterne, ognuna delle quali è indispensabile per un sano sviluppo della psiche (Davies & Eagle, 2013). Esse sono: funzione di terza persona separatrice; funzione di facilitazione della struttura mentale e della capacità di pensare; funzione di facilitazione nella gestione delle emozioni (soprattutto dell’aggressività); funzione di protezione della sicurezza psichica. Non è la natura sessuale differente del padre che protegge contro la fusione tra figlio e madre, ma è la sua funzione alternativa che agisce un ruolo essenziale nella crescente organizzazione, differenziazione ed integrazione dell’Io infantile (V.Trotta, 2021).
    La maggior parte dei dati raccolti dai questionari mostra come la figura paterna risulti marginale, poco presente e determinante, soprattutto nel periodo pre-diagnosi delle pazienti affette da anoressia.
    Molti studi hanno osservato l’impatto dell’assenza del padre sullo sviluppo cognitivo e comportamentale dei figli. Ad esempio, le figlie di genitori separati con padre assente, per riparare al senso di vuoto da esse sperimentato, sanno di doversi dare da sole ciò che è a loro mancato. Per compensare tale mancanza, possono investire molto sulla propria intelligenza ed educazione scolastica, oppure, di contro, esse possono sentirsi troppo deboli e fragili per affrontare la responsabilità della vita quotidiana ed incarnare, quindi, l’immagine di fanciulla debole che necessita degli altri per essere salvata, una donna fragile e priva di identità (Lavadera & Marasco, 2005). Quando le dinamiche legate all’assenza del padre si estremizzano, la figlia può percepire di avere come unica possibilità la scelta anoressica.

    In buona parte dei vari percorsi di cura analizzati è emerso un generale miglioramento nelle relazioni interfamiliari, attraverso una maggiore presenza e coinvolgimento da parte dei vari componenti, condivisione delle emozioni, maggiore dialogo ed attenzione all’utilizzo di certe parole e ad esprimere commenti negativi. Si è osservato un graduale ripristino dei ruoli all’interno della famiglia, con una maggiore presenza della figura paterna rispetto al periodo pre-trattamento.
    Il funzionamento familiare è, infatti, un fattore di mantenimento dell’anoressia, o, al contrario, può rappresentare un fattore facilitante del processo terapeutico. La partecipazione della coppia genitoriale ed il coinvolgimento dell’intera famiglia nel processo di cura del disturbo alimentare è, infatti, riconosciuto come fattore prognostico chiave da tutte le linee guida per il trattamento dell’anoressia nervosa (Yager et al., 2006; American Psychiatric Association, 2006).

    In generale viene dichiarata una valida e diffusa consapevolezza sia nel paziente che nei familiari, una volta che il disturbo viene diagnostico e si è intrapreso un percorso di cura. Risulta, però, difficile affermare quanto sia reale e sentita tale consapevolezza, considerando che non è stato valutato nell’analisi dei dati, il periodo storico e la fase del percorso in cui si trova il paziente al momento della somministrazione del questionario. Aspetto che riteniamo utile, di cui purtroppo ci si è resi conto una volta terminata la somministrazione del questionario.

    È possibile affermare che la consapevolezza di malattia, consente un senso di compliance terapeutica maggiore, rispetto a una mera esecuzione di ciò che prescrivono i curanti in termini di terapia farmacologica, dieta e colloqui psicologici predefiniti, solo con l’obiettivo di essere adempienti e risolvere la situazione il più in fretta possibile. E’ fondamentale che la famiglia si renda realmente conto della situazione e della gravità che affligge ogni componente, non solo il paziente. Questo processo di consapevolezza è necessariamente frutto di un percorso di reale ingaggio da parte di tutto il sistema famiglia in collaborazione con l’equipe multidisciplinare che, lavorando con un obiettivo comune, consente di guidare e supportare la famiglia nei momenti di difficoltà. In effetti, in letteratura, se si esaminano gli studi sui comportamenti genitoriali risulta che madri e padri maturano convinzioni positive sulla malattia e tendono a indirizzare i propri figli verso il piano di realtà. In questi casi gli esiti di malattia sono migliori rispetto ai casi in cui i genitori tendono a minimizzarne le manifestazioni comportamentali. Constatare che solitamente i genitori considerano la patologia alimentare come una malattia misteriosa non sorprende affatto. Un basso livello di “coscienza di malattia” può provocare frustrazione e confusione, e può esitare in comportamenti contraddittori da parte dei genitori, in quanto basati su un sistema di credenze non adeguate. In effetti, i genitori che hanno espresso forte preoccupazione per le manifestazioni della malattia hanno avuto approcci positivi nei confronti della stessa rispetto a quelli che si mostravano più sicuri delle proprie azioni e dei propri comportamenti (Moss-Morris et al. , 2002).
    Inoltre, analizzare le strategie adottate dai genitori per interpretare i significati inerenti allo sviluppo della malattia può portare a una condizione di maggiore benessere del paziente. Le indagini effettuate in ambito adolescenziale indicano che i genitori si comportano con i figli affetti da disturbo alimentare esattamente come la restante parte dei genitori. Ma sarebbe necessario studiare altre variabili di accudimento, come la vergogna e i favoritismi, che sono legati alla genesi della psicopatologia alimentare (Gilbert, Gerlsma, 1999), alle quali sono associati mancanza di autostima e problemi interpersonali (Gilbert et al. , 1999).
    In effetti, ciò che emerge dai nostri dati raccolti, un aspetto che riferiscono i pazienti è legato alla loro percezione di amore e cura da parte dei familiari, come se non fosse riconosciuto l’affetto. Aspetto che crea insicurezza nel paziente e crea un vissuto di bassa autostima, poco riconoscimento e necessità di continue richieste di conferme che spesso non vengono assecondate. Ed è difficile per i familiari comprendere come sostenere il/la figlio/figlia, intimorito dal fatto che qualsiasi strategia/comportamento mettano in atto, possa portare a conseguenze tragiche. Non è raro, dunque riscontrare atteggiamenti a tratti espulsivi e a tratti iperprotettivi, sia prima dell’esordio conclamato e diagnosticato, sia durante la presa in carico e il percorso di cura.
    Appaiono quindi, critici i comportamenti rifiutanti e iperprotettivi da parte dei genitori, che rappresentano un fattore di rischio per l’esordio dei disturbi alimentari (Castro et al., 2000). Gli studi di McFarlane e colleghi (1995) hanno rilevato che il principale determinante del benessere negli adolescenti esposti a situazioni di stress era caratterizzato da uno stile di accudimento basato sull’empatia, senza la presenza di eccessiva intrusione e controllo. Secondo Oliver e Paull (1995), la relazione dei genitori con figli affetti da disturbo alimentare è dominata dal sottile senso di scarsa autostima che circola tra loro. Per questi motivi è importante mantenere un atteggiamento accudente, senza essere oppressivo con una valida capacità di ascolto e supporto, dove il genitore non deve mostrare di essere per forza competente e all’altezza della situazione, ma può, insieme al paziente, mostrare la sua paura e i suoi timori per le condizioni di salute del figlio/a; aspetto fondamentale per lavorare sul pensiero di onnipotenza che spesso provano sia i pazienti che i familiari. E’ nel momento in cui ci si rende conto che non si è onnipotenti, che è possibile vedere la reale situazione, accettarla e chiedere aiuto.

    Un altro aspetto da considerare è la differenza tra contesto pubblico e privato: un contesto privato in cui il contratto terapeutico prevede una frequenza settimanale o cadenzata con tempi ravvicinati, solitamente con una presa in carico richiesta dalla famiglia e quindi a pagamento, è più probabile che ci sia un ingaggio migliore e una maggiore disponibilità a considerare l’importanza delle richieste o proposte fatte, di varia natura. A differenza di un contesto pubblico e gratuito, dove spesso sembra che la richiesta da parte della famiglia sia doverosa nei confronti del servizio che deve essere rispondente e pronto ad accogliere e soddisfare i loro bisogni, senza sfociare in richieste extra.

    DISCUSSIONE
    Il lavoro svolto dalle componenti del gruppo è risultato proficuo e ha portato al raggiungimento dell’obiettivo iniziale. Nonostante le difficoltà organizzative dovute a impegni lavorativi e distanza per collocazioni logistiche nelle diverse regioni, siamo riuscite a trovare i tempi adeguati a svolgere e terminare il lavoro. Le varie professionalità sono rappresentative di un punto di forza nell’arricchire di vari punti di vista tutto l’elaborato. Rispetto alle criticità possiamo evidenziare che il lavoro, di particolare importanza e complessità, avrebbe meritato ulteriori approfondimenti e indagini per ottenere ulteriori dati.
    Nel complesso possiamo affermare che il valore aggiunto di una presa in carico multidisciplinare sia la carta vincente da giocare in disturbi psicopatologici di questa gravità come i disturbi alimentari che inevitabilmente coinvolgono oltre al paziente, anche il nucleo familiare, soprattutto nel caso di minorenni o di pazienti che vivono ancora in famiglia. Spesso le emozioni più profonde, che necessitano di essere sviscerate, riguardano il paziente rispetto all’accettazione di sé stesso e delle sue capacità di relazionarsi col mondo, ma intersecate inevitabilmente con lo stile di attaccamento e lo stile educativo trasmesso in famiglia. Di conseguenza spesso gioca un ruolo rilevante il timore del giudizio altrui, il senso di colpa, il voler far pagare all’altro un torto che si pensa di aver subito e si mettono in atto dinamiche di controllo e di potere. La letteratura suggerisce che la polarità semantica sulla quale si muove il paziente con disturbo alimentare, sia proprio quella del potere (V. Ugazio, Storie permesse storie proibite, Bollati Boringhieri, 2013, p. 218) che riesce a concentrare su di sé l’attenzione e tiene in scacco tutti i familiari che lo circondano. Alla luce di questa modalità comportamentale, è importante riconoscere che spesso il disturbo alimentare è solo uno dei contenitori patologici scelti dal paziente per manifestare il proprio malessere. Sceglie di esprimerlo attraverso il corpo punendolo, con l’illusione di avere il controllo su di esso, senza essere consapevole che il vero burattinaio è il disturbo alimentare. Una volta risolto il sintomo, in una buona percentuale di situazioni si verificano altri disturbi psicopatologici in comorbilità. Spesso sono associati disturbi dell’umore o disturbi di personalità, che necessita di una presa in carico lunga costante.
    Il disturbo alimentare ha trovato la sua collocazione anche nei secoli scorsi: non veniva riconosciuto come tale, piuttosto veniva interpretato come forma di devozione e sacrificio. Se pensiamo, nella storia, ci sono state varie Sante che attraverso restrizione alimentare o addirittura il digiuno, espiavano le loro colpe. Famosa la storia di Caterina da Siena (1347-1380) che ha vissuto, nei suoi anni di giovinezza, un forte senso di colpa per la morte di alcune sorelle, che l’hanno portata ad avvicinarsi alla chiesa e di entrare nell’ordine terziario delle domenicane Mantellate, con importanti digiuni e un’alimentazione molto selettiva, costituita da vegetali crudi, acqua e pane. Scelta che l’ha “salvata” dal senso di colpa perché ha espiato tutti i suoi peccati, e le è stata utile per diversi anni e nel raggiungimento di alcuni suoi obiettivi, ma che alla fine l’ha portata alla morte, fino ad arrivare alla decisione di smettere di bere e morire dopo pochi mesi.
    Nell’opera di Bell (1987) Caterina viene descritta come una ragazza alla conquista di se stessa, con un desiderio di autonomia talmente forte da condurla alla morte. I suoi impulsi religiosi si sviluppano nel contesto familiare da cui non riuscirà mai totalmente a staccarsi. Il senso di colpa nei confronti dei suoi cari causato dal ritenersi incapace di ricambiare l’amore da essi ricevuto la condurrà al sacrificio: così Caterina si sentirà in dovere di essere una buona figlia e di espiare i peccati ed i debiti mondani della sua famiglia. Quest’ultima rappresenterà il filtro attraverso cui Caterina guarderà il mondo, la sua prigione.
    Tali considerazioni possono essere trasposte ai nostri pazienti attuali, dove le emozioni che si muovono sono le stesse, ma con motivazioni differenti e senza quella spiritualità che porta il martire a definirsi tale per i sacrifici per qualcun altro, ottenendo risultati socialmente utili e condivisibili con l’abito della religione e quindi poco criticabile, anzi ricoperto di ammirazione e devozione.
    Più recentemente, nel XX secolo, Freud pone alle origini della negazione della paziente anoressica per il cibo la sua stessa proiezione del rifiuto verso una fantasia di fecondazione orale connessa con il fallo paterno. Come se con la privazione del cibo, si potesse domare la pulsione sessuale. Così all’astinenza alimentare si lega quella sessuale, entrambe indispensabili a mantenere quell’equilibrio psico-fisiologico utile per garantire lo status verginale, obiettivo privilegiato per incontrare la grazia divina.

     

    IMMAGINI E LAVORI DI ALCUNE PAZIENTI COINVOLTE NELLA COMPILAZIONE DEL QUESTIONARIO

     disturbi alimentari

     

     disturbi alimentari lavoro1

     

     

    disturbi alimentari lavoro3

     

     

    BIBLIOGRAFIA
    1. Un dolore infame – genitori e anoressia, una lettura psicoanalitica (P. Pace, 2010);
    2. Sotto la pelle – psicoanalisi della modificazione corporea (A. Lemma, 2011);
    3. Bell M. R. 1987, La santa anoressia. Digiuno e misticismo dal Medioevo ad oggi, Roma-Bari;
    4. Castro, J. (2000), Perceived rearing practices and anorexia nervosa, in “Clinical Psychological Psychotherapy”, 7, pp. 320-325.;
    5. Freud S. (1895). Draft G. Melancholia. Freud Opere, Vol. 2. Torino: Boringhieri;
    6. Davis, N., & Eagle, G. (2013). Conceptualizing the Paternal Function: maleness, masculinity, or thirdness?. Contemporary Psychoanalysis, 49(4), 559-585;
    7. Gilbert, P., Allan, S., Goss, K. (1996), Parental representations, shame, interpersonal problems and vulnerability to psychopathology, in “Clinical Psychology and Psychotherapy”, 3, pp. 23-34.Gilbert, P., Gerlsma, C. (1999), Recall of shame and favouritism in relation to psychopathology, in “British Journal of Clinical Psychology”, 38, pp. 357-373;
    8. Lavadera, A. L., & Marasco, M. (2005). La Sindrome di Alienazione Genitoriale nelle consulenze tecniche d’ufficio: uno studio pilota. Maltrattamento e abuso all’infanzia;
    9. McFarlane, A. H., Bellissimo, A., Norman, G. R. (1995), Family structure, family functioning and adolescent wellbeing: the transcendent influence of parental style, in “Journal of Child Psychology and Psychiatry”, 36, pp. 847-864;
    10. Ministero della Salute (2018). Disturbi dell’alimentazione e della nutrizione: raccomandazioni per i familiari;
    11. Oliver, J. M., Paull, J. C. (1995), Self-esteem and self-efficacy; perceived parenting and family climate; and depression in university students, in “Journal of Clinical Psychology”, 51, pp. 467-481;
    12. Trotta V. (2021). La figura paterna nell’insorgenza dell’anoressia mentale - Saggio;
    13. Yager, J., Devlin, M., Hami, K., Herzog, D. B., Mitchell, J. E., & Powers, P. (2006). American Psychiatric Association practice guideline for the tratment of patients with eating disorders. American Journal of Psychiatry, 163 (7 Suppl), 4-54.

     

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